Cronaca di una visita: seconda parte
In questa sezione sono riportate le partecipazioni di numerosi Artisti latinoamericani che vivono nei loro Paesi o dove sono emigrati. Le opere sono state collocate prevalentemente nel Padiglione centrale accomunate a quelle di altri Autori per spirito o per messaggi. Vi riporto qui una serie interessante ed assolutamente non esaustiva… alla fine della giornata dopo aver visitato tutto quanto sopra descritto e tralasciato “il grosso” della Biennale mi sono accasciato sulla Riva degli Schiavoni a guardare il tramonto attendendo il traghetto… il sottotitolo della mostra “Il latte dei sogni” è quanto mai appropriato.
La pratica artistica di Gabriel Chaile è influenzata dal rapporto dell’artista con le comunità indigenti, i rituali e le tradizioni artistiche del suo Paese di origine, l’Argentina. Cresciuto nella città settentrionale di San Miguel de Tucumán in una famiglia di retaggio spagnolo, afro-arabo e indigeno di Candelaria, Chaile impiega spesso materiali, forme e simboli archetipici associati alle civiltà precolombiane, in una sintesi poetica e al contempo umoristica. L’artista crea spazi in cui precedente storico, epistemologie indigene e consuetudini artigianali si mescolano alla vita contemporanea. Le sue caratteristiche sculture si riferiscono a una teoria che definisce “genealogia della forma”. Creando oggetti come pentole e forni di argilla che assumono spesso tratti antropomorfi, l’artista evoca il rapporto tra i recipienti argentini tradizionali e il nutrimento, il sostegno, la collaborazione e le attività della comunità. Per Il latte dei sogni, Chaile realizza un gruppo di cinque sculture-forno in grande formato che ritraggono alcuni componenti della sua famiglia. Accanto alla figura principale del gruppo, che è intitolata Rosario Liendro (2022) e rappresenta la nonna materna, l’artista posiziona anche i ritratti dei genitori e dei nonni paterni. Quando non può contare sulla loro conoscenza diretta, Chaile immagina le fattezze dei familiari ricorrendo alla loro descrizione tramandata in racconti orali o utilizzando forme della tradizione indigena. Anche queste sculture sono espressione della capacità del corpo di fare comunità e, nel contesto familiare, di dare e ricevere cura. Madeline Weisburg & Stefano Mudu
L’attività di Rosana Paulino (Brasile,1967) abbraccia numerosi ambiti quali disegno, ricamo, incisione, serigrafia, collage, scultura e installazione per esplorare la storia della violenza razziale e il persistente retaggio della schiavitù in Brasile. L’artista analizza in dettaglio l’elaborazione e la diffusione delle teorie colonialiste e razziste che hanno giustificato l’imperialismo europeo e il commercio degli schiavi. I disegni della serie Wet Nurse (2005) esaminano il ruolo di donne nere ridotte in schiavitù che allattavano i figli del padrone. Un groviglio di vene che si diramano da seni arrossati spunta dai capezzoli a indicare il latte e, al contempo, a suggerire gocce di sangue. Nella serie Weavers (2003), dai seni, dalle vagine, dagli occhi e dalle bocche delle donne spuntano delle radici che sembrano avvolgere e torturare chi li ha generati. La serie Senhora das plantas (2019) ritrae radici e piante che si diramano da corpi femminili. Nella serie Jatobá (2019) tronchi emergono dal suolo e si innalzano fino a confondersi con corpi umani che, a loro volta, si fondono e sono avvolti da fiori, piante e alberi. Nella serie di disegni antropomorfi Carapace of Protection, eseguita nel primo decennio del Duemila, delle figure emergono da alcuni bozzoli, nei quali il processo di metamorfosi concede ai corpi un momentaneo senso di euforia. Rivelando la promessa di trasformazione e la possibilità di evitare paradigmi immutabili, la pelle diventa la reliquia di un tempo passato e simboleggia la caduta delle costrizioni.
Liv Cuniberti
Dove non altrimenti specificato foto e testi a cura di Ivano Dal Conte e Michela Stama
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